sabato 2 settembre 2017

LA COMFORT ZONE

Diciamo che io, per mia natura, tendo a creami una zona franca in tutto quello che faccio, non per un senso di protezione cui dar seguito, ma più semplicemente perché mi dà piacere. 
Questo un po' in tutto ciò che faccio: mi piace il quartiere dove abito, il fatto che se entro dal macellaio la mattina presto prima del lavoro,  oppure al mercato comunale il sabato con il mio carrellino da nonna per la spesa, mi sento accolta, mi conoscono, mi salutano e mi consigliano. Idem se partecipo ad un evento nel quartiere, un aperitivo nei locali di zona o una cena. 
La scuola dei bambini è anche il parco dove giocano, conosco anche solo di vista molte persone; il Trotter è parte integrante della vita della famiglia, con i suoi pregi e i suoi problemi. 
Infine le cose più piccole, come la mia scrivania al lavoro, piena degli oggetti che mi fa piacere guardare, toccare, che mi identificano... Insomma, tutto ciò che rende la mia vita più piacevole, tendo a tenermelo stretto. 
Per questo motivo mi stupisco di chi dice che per vivere appieno bisognerebbe uscire dalle proprie zone di comfort. Perché? Io non ho niente da dimostrare a nessuno e la mia vita mi dà soddisfazione così. Quando qualcosa non mi piace semplicemente cerco di cambiarla, oppure capita che qualcosa non mi piaccia ma sia necessario al bene della famiglia, perciò rinuncio o scendo a compromessi. Ma non faccio spontaneamente qualcosa che mi crea disagio, solo per dimostrare a me stessa che sono figa. Forse un tempo, quando il mio cervello cercava la sua strada. Ora ho fatto pace con il mio cervello. 
Ho detto disagio, non adrenalina: zona di comfort è anche buttarsi col paracadute, fare arrampicate, partecipare a competizioni, dipende solo dalla sensazione che ti crea dentro. Per alcuni stare a casa a guardare la TV è un disagio, quindi perché farlo? 

Alla prossima.